La gestione dei pazienti COVID-19 a Villa Aprica:La dottoressa dell’Istituto Clinico Villa Aprica racconta come vengono gestiti i pazienti COVID-19 e in che modo stanno affrontando questo nemico comune.
L’istituto Clinico Villa Aprica offre ai suoi pazienti la professionalità, la competenza e il supporto di tutto il personale sanitario in prima linea per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Anche l’Istituto Clinico Villa Aprica è in prima linea per combattere il contagio da coronavirus. La dottoressa Doris Mascheroni, responsabile dell’Unità di Medicina interna della struttura di Gruppo San Donato, è una dei tanti medici “protagonisti” di questa battaglia e ci racconta come vengono gestiti questi pazienti e come si combatte questo nemico invisibile. “Inizialmente - spiega la dottoressa - abbiamo cominciato a dare supporto agli altri ospedali accogliendo persone non COVID-19, in modo da liberare i posti in strutture sature così come richiesto dalla Centrale Operativa Regionale. Abbiamo, sin dalle fasi iniziali, provveduto a bloccare l’attività operatoria riconvertendo il nostro Blocco Operatorio in tre posti letto di rianimazione messi anch’essi a disposizione della Centrale unica regionale e subito occupati. Abbiamo dimesso dall’ospedale tutti i pazienti dimissibili e abbiamo organizzato un reparto isolato per pazienti positivi al COVID-19 con 4 letti dedicati a pazienti con ventilazione assistita tramite CPap. Il reparto - conclude la dottoressa Mascheroni - è stato saturato nel giro di un paio di giorni e abbiamo, pertanto, provveduto ad aumentare il numero di posti isolati nelle ore successive”.
IL PERCORSO DEL PAZIENTE
“Attualmente - prosegue la dottoressa - trattiamo pazienti di varie fasce di età, a partire dagli under 50 fino agli 80 anni: è un virus che, purtroppo, non fa distinzione. La maggior parte dei pazienti è stabile e sta proseguendo il proprio percorso fino al termine della terapia; in seguito, si sottoporranno al tampone faringeo per verificarne la negatività e, a distanza di 24 ore, se ne effettuerà un secondo di conferma. Se entrambi risultano negativi, il paziente clinicamente guarito viene dimesso anche se deve rispettare un periodo di isolamento fiduciario al proprio domicilio di 14 giorni (evitando contatti sociali, isolamento dai familiari con uso esclusivo dei servizi igienici). Al termine, vi sarà una successiva rivalutazione clinica e un tampone nasofaringeo da parte di ATS. Purtroppo, in certi casi, alcuni dei degenti molto anziani non possono essere gestiti dai propri parenti a casa perché sono anch’essi in isolamento. Questo è un aspetto sociale molto importante perché c’è il rischio, per questi pazienti, di ritrovarsi soli. Per questo motivo, cerchiamo di venire loro incontro tenendoli in struttura fino a che non sarà nuovamente possibile per i parenti ospitarli e prendersene cura”.
L'INGRESSO IN STRUTTURA
«Essendo i pazienti COVID-19 ricoverati nel reparto di Medicina interna - spiega la dottoressa - la Direzione Sanitaria sottopone alla mia attenzione i casi proposti dalla Centrale Regionale per il trasferimento da altri ospedali e, insieme ai miei collaboratori, valutiamo se si possano o meno gestire con le risorse di personale e strumentazione a disposizione. In caso positivo, il paziente viene trasferito e, tramite un percorso dedicato, giunge direttamente al reparto di riferimento dove avviene il ricovero. Ovviamente, per effettuare tutto nella massima sicurezza, i medici e gli infermieri che vengono a contatto con i malati devono indossare i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) come le tute e gli schermi protettivi. Attualmente, gli operatori più coinvolti sono gli internisti e i cardiologi che vengono costantemente affiancati da altri specialisti tutti i giorni, su turni ben precisi. In questo modo, si cerca di garantire sempre la massima copertura assistenziale a tutti i pazienti. In caso di situazioni particolarmente gravi, si chiama direttamente il medico rianimatore (sempre presente e disponibile)».
IL PUNTO DI VISTA DEL MEDICO E DELLA PERSONA
“È, indubbiamente, una situazione molto pesante - continua la dottoressa Mascheroni -. Al di là della fatica fisica dovuta ai turni estenuanti del personale paramedico (anche fino a 12 ore), è più stressante il contatto con questi malati sofferenti, alcuni dei quali non solo sono gravi ma anche soli visto che non possono avere contatti fisici con i propri familiari, se non telefonici. Alcuni di loro non possiedono nemmeno il cellulare, per questo noi medici, tutti i giorni dalle 11 alle 12, chiamiamo i parenti per aggiornarli. Di questo i pazienti ci sono grati perché diventiamo, per loro, come una famiglia, un supporto psicologico per farli sentire meno soli. Cerchiamo di tenerli su con il morale, di “coccolarli” e di trattarli un po’ come se fossero i nostri genitori, zii o nonni. Io stessa cerco di trasmettere sia a me stessa sia ai miei colleghi il buon proposito di portare un po’ di buon umore tutti i giorni: far passare un messaggio di positività, scherzando con i pazienti e rassicurandoli. Spesso ci mettiamo accanto a loro, gli prendiamo la mano e gli ripetiamo che tutto andrà bene».
DUE MESSAGGI IMPORTANTI
«Da medico a contatto con questa realtà - conclude la dottoressa Mascheroni - mi sento di dare due messaggi: il primo è per i miei colleghi, esortandoli a non mollare e di continuare il loro splendido lavoro. Io dico sempre che non siamo degli eroi, ma siamo persone che credono nella propria professione, al servizio degli altri. Questo non è eroismo, è senso del dovere e di umanità. Il secondo è per le persone che stanno fuori, prego sempre loro di non smettere mai di rispettare le regole, perché meno si diffonde il virus e prima, forse, si riuscirà a uscire da questa gravissima emergenza».